Il programma del terzo concerto della stagione OSN Rai ha forse come filo conduttore le ricorrenze anniversarie dei tre compositori: i bicentenari di Schumann e Mendelssohn e il 60enario di Richard Strauss. A celebrare il rito due coetanei, giovani ma già affermati: il direttore Tomáš Netopil e il violinista Nikolaj Znaider.
Tomáš Netopil
Moravo, 34 anni, Netopil ha compiuto i suoi studi di violino e direzione d’orchestra in patria perfezionandosi poi alla scuola del grande Jorma Panula. Dotato di grande musicalità e slancio, riesce facilmente a conquistare orchestre e pubblico con interpretazioni trascinanti.
Nikolaj Znaider, nato a Copenhagen da famiglia polacco-israeliana, ha studiato con Boris Kushnir. A 16 anni vinse il primo premio alla quarta edizione della Carl Nielsen Competition, da allora ha intrapreso una carriera strepitosa che lo ha visto esibirsi con le maggiori istituzioni musicali del mondo e con i più grandi direttori di oggi. Suona un Guarneri del 1741 che fu del leggendario Fritz Kreisler.
Nikolaj Znaider
Il programma di ieri sera, in replica stasera, iniziava con l’Ouverture Julius Caesar che Schumann compose per un’opera che rimase solo un abbozzo. Pagina non frequente nei programmi dei concerti e nelle incisioni discografiche, che meriterebbe di essere più eseguita e conosciuta. Il secondo brano invece è conosciutissimo e quest’anno è già stato proposto a Torino almeno due volte: il Concerto in mi minore op.64 di Mendelssohn, ma è uno di quei capolavori che non ci si stancherebbe mai di ascoltare, sicuri che ogni volta darà nuove emozioni. A maggior ragione se a interpretarlo c’è un virtuoso come Znaider. Probabilmente non c’era invece necessità di riascoltare per una ennesima volta l’Also sprach Zarathustra di Richard Strauss, che deve la sua popolarità soprattutto al cinema di Stanley Kubrick. La popolarità di massa veramente si limita ai primi 90 secondi, forse i più ispirati e suggestivi di tutta la composizione. Comunque poiché la pagina rimane sempre un ottimo test per saggiare oltre che i propri impianti hifi casalinghi anche il livello delle orchestre ben venga tutto sommato la verifica. Superamento a pieni voti (nonostante un piccolissimo incidente perdonabilissimo e più che comprensibile) per orchestra e direttore.
Confermo il miglioramento dell’acustica in platea (ma forse anche in altri settori) dovuto alla copertura parziale del coro con una struttura in plexiglas. La stessa sensazione mi è stata confermata da altri spettatori. Insomma una dimostrazione che perseguendo alcuni obiettivi se ne raggiungono poi altri imprevisti. Che risultato invece abbiano le luci nelle riprese tv sarà da verificare quando saranno teletrasmesse. Spero che sia diverso da quello del concerto trasmesso su Raitre stanotte (all’1:40!!!) ripreso alla Scala da altro staff e altra regia: Daniele Gatti e gran parte degli orchestrali avevano la pelle così arrossata per l’effetto delle luci rosse soffuse da farli sembrare pronti per un immediato ricovero in un ospedale dermatologico.
Sessant’anni fa, il 28 ottobre 1949, Ginette Neveu periva in un incidente aereo a soli 30 anni di età. Tra le 48 vittime del volo Air France anche il di lei padre, Jean Paul, pianista che era partner musicale della figlia, nonché il celebre pugile francese Marcel Cerdan, la notizia della cui morte fece passare in secondo piano sui media dell’epoca quella della celebre violinista.
Nata a Parigi l’11 agosto del 1919, fu fanciulla prodigio: iniziò a sonare già a 5 anni, a 7 diede il primo concerto all’Orchestre Colonne e a 11 vinse già il primo premio.
Tema natale di Ginette Neveu (da Astrotheme)
Fu allieva di Enescu e Carl Flesch. Nel 1935 vinse a Varsavia il premio Wienawski in una competizione che vide David Oistrach al secondo posto. Durante la Seconda Guerra Mondiale si dedicò alle incisioni, alla fine del conflitto iniziò una serie tourné in giro per il mondo. Grandissima interprete che coniugava mirabilmente una tecnica formidabile e una intensa passionalità.
Un rarissimo filmato del 1946 a Praga nel Poème di Chausson:
Sabato 24 ottobre: inaugurazione della Stagione Lirica 2009/10 al Teatro Superga. Per una coincidenza lo stesso titolo che ha aperto la stagione del Regio e che è ancora in corso di rappresentazione: La Traviata di Giuseppe Verdi. Sicché Domenica 25 nella conurbazione torinese si poteva scegliere tra due edizioni della stessa opera. Direi comunque che non si trattava di edizioni in concorrenza: al Teatro Superga non ci sono ambizioni di innovare la lirica con allestimenti che vorrebbero fornire nuove prospettive di lettura dell’opera rappresentata. Insomma tutto avviene secondo libretto e tradizione e gli spettatori non vengono costretti a decodificare proposte spesso criptiche. Devo dire che fa bene vedere una Violetta che non corre come una assatanata da un capo all’altro del palcoscenico (Salzburg) o fa contorsionismi su una tavola (Parma) o su un’alcova è intenta a prendere gli onorari delle sue prestazioni durante il preludio (Venezia); muore nella sua camera da letto e non in una corsia d’ospedale o in un androne condominiale o vicino a un trabattello durante la ristrutturazione in corso del suo alloggio. Inoltre non si insiste a sottolineare ed enfatizzare gli aspetti inevitabilmente squallidi della sua attività professionale: insomma non c’è alcun bisogno che gli spettatori vengano edotti con scene ad hoc sul fatto che in casa di Violetta e di Flora gli invitati non andassero a recitare il rosario o le novene, già il titolo è lapidario, non lascia dubbi e tanto basti. Quindi nessuna sorpresa, tutto come ai vecchi tempi e ci si può ancora commuovere di fronte alla vicenda di Violetta. E’ vero che poi gli spettatori all’uscita non fanno a gara a chi ha capito di più l’allestimento del regista e si limitano a commentare la bravura dei cantanti o l’inevitabile emozione che dà puntalmente il capolavoro verdiano, ma forse l’opera lirica continua a vivere proprio in questa sua capacità di coinvolgimento emotivo senza cui rischia di defungere.
Quindi nulla da aggiungere sull’allestimento, curato dal regista Guido Zamara: tradizionale, essenziale e decoroso. La sorpresa della serata è stata la protagonista, il soprano SandraBalducci, chiamata a sostituire in extremis la titolare indisposta. Giovanissima e di bella figura rendeva già scenicamente il personaggio interpretato. Soprano lirico di coloratura (come viene definita) è l’ideale per essere Violetta, che nei tre atti passa dalla coloratura del primo atto, al lirico e drammatico degli altri due. La Balducci ha già convinto il pubblico durante il primo atto (d’altronde nel suo repertorio c’è persino la Regina della Notte!), ma li ha poi letteralmente conquistati nel secondo e nel terzo. In “Dite alla giovine..”, “Alfredo, Alfredo”, “Addio del passato”, con una voce che sembrava giungere dal profondo dell’anima è riuscita a siglare un’interpretazione intensa e coinvolgente, da artista matura, quasi in contraddizione con la sua giovanissima età.
Sandra Balducci
Accanto a lei nel ruolo di Alfredo una conoscenza del Teatro Superga, Enrico Nenci, che nella scorsa stagione era già stato applaudito come Mario nella Tosca e soprattutto come Pollione (uno dei più convincenti da me ascoltati sulle scene negli ultimi anni) nella Norma. Un Alfredo generoso e ricco di slancio come ha da essere. Sergio Bologna, già applaudito lo scorso anno come Scarpia, si è confermato un ottimo baritono nel ruolo di Germont. Bella voce e linea di canto sempre corretta, senza eccessi e forzature, riesce a rendere persin meno antipatico del solito il personaggio di Germont padre. Buoni i comprimari da M.Vittoria Paba (nel doppio ruolo di Annina e Flora) a Silvano Paolillo (Gastone) a Valerio Garzo (il Barone), a Carlo Provengano (il Marchese) a Antonio Marani, già ascoltato in Tosca, nel breve ruolo del Dottore. Fondamentale il ruolo del Coro “Puccini” diretto da Gianluca Fasano e del Corpo di ballo “Studio Danza Narcisa”. Ho lasciato per ultimo il direttore, Claudio Maria Micheli, che per quanto giovane vanta già un buon curriculum e un vasto repertorio lirico e sinfonico corale. E’ riuscito nell’ardua impresa di equilibrare orchestra e palcoscenico in un teatro privo di buca e non nato espressamente per la lirica.
Claudio Maria Micheli
L’orchestra composta da giovanissimi aveva il nome “Orchestra del Teatro Superga”. Non saprei se sarà un complesso stabile o se si è trattato solo di un nome scelto per l’occasione. In ogni caso giovani valorosi che meritano ogni plauso.
Doveroso un encomio finale al Comune di Nichelino e ai suoi amministratori che in periodo di innegabile crisi, anziché piangere miseria e battere cassa proseguono costanti nella loro opera di elevazione culturale dei propri cittadini. Non solo la stagione si fa con i consueti otto spettacoli, ma il Teatro è stato parzialmente ristrutturato per renderlo più agibile e confortevole. Tutti vorremmo avere amministratori così.
Dopo la “Puccini collection” dello scorso inverno ecco la Verdi DVD Collection, in edicola allegata ai settimanali del gruppo Mondadori. Si parte con Aida, cui seguiranno Traviata, Rigoletto, Trovatore… ecc. fino a tutto gennaio, salvo ripensamenti editoriali.
Quindi primo numero Aida, in una edizione ripresa all’Arena di Verona circa 30 anni fa. Maggiore attrattiva la presenza di Maria Chiara, soprano che nel ruolo di Aida eccelleva in modo particolare, e di Fiorenza Cossotto nel ruolo di Amneris. Radames è Nicola Martinucci. A dirigere Anton Guadagno, direttore siciliano, scomparso nel 2002, attivo soprattutto all’estero. Aveva una predilezione per Aida e spesso era chiamato a dirigerla. Un estratto dall’edizione: il duetto tra Aida e Amneris.
Come già avevo annunciato, il secondo numero è La Traviata. Si tratta della celeberrima edizione diretta da Georg Solti con Angela Gheorghiu nel ruolo di Violetta. Edizione già distribuita più volte in edicola in altre collane sia in VHS che in DVD. Scelta comunque sempre azzeccata, in quanto è forse la migliore edizione in video dell’opera. Spettacolo del Covent Garden del dicembre 1994 fu un successo strepitoso al punto che la BBC cambiò la programmazione tv per trasmetterla in diretta. La Decca ne fece immediatamente CD e video. Merito di Solti, che alla veneranda età di 82 anni debuttava in quest’opera e scelse per il ruolo principale la Gheorghiu, curandone in modo capillare la interpretazione. Accanto alla Gheorghiu l’ottimo Germont padre di Leo Nucci. Meno riuscita la scelta di Frank Lopardo come Alfredo. Comprimari che cantano in itanglese, come di solito alla ROH, almeno in passato. Allestimento tradizionale di ottimo gusto di Richard Eyre.
Due estratti dall’edizione:
Terzo numero: Rigoletto. Come avevo già scritto, edizione del Metropolitan di New York, direttore James Levine. Ripresa il 7 novembre 1977 è un esempio di che cosa era il Met nell’era Levine. Spettacoli molto tradizionali, non sempre belli e spesso vetusti; cast che accanto a vecchie glorie del teatro vedevano star del momento e comprimari di buon livello; direzione d’orchestra di Levine, spesso criticata per mancanza di idee originali, ma sempre fortemente teatrale, di passo incalzante, mai noiosa. In questo Rigoletto nel ruolo eponimo c’è una vecchia gloria del Met: Cornell Mac Neil che a 55 anni riesce ancora a essere un convincente Rigoletto. Accanto a lui due star: Placido Domingo e Ileana Cotrubas, allora presente in molti teatri e incisioni. I due saranno protagonisti della incisione dell’opera diretta da Giulini un paio di anni dopo. Justino Diaz è Sparafucile Isola Jones Maddalena. La regia di John Dexter è quanto di più tradizionale si possa immaginare, ma forse meglio così: si va sul sicuro. La ripresa tv di Kirk Browning è secondo gli standard del tempo e oggi potrebbe sembrare superata. Però si tenga presente che gli USA e il Met in questo campo erano circa 20 anni avanti a noi nel tempo.
Un estratto dall’edizione:
Quarto numero: Il Trovatore. Anche in questo caso edizione del Met. Conosciutissima e già distribuita in edicola in varie collane sia in VHS che in DVD. Trasmessa anche in tv lo scorso anno dalla rete Iris nel digitale terrestre free to air in un ciclo di opere in prima serata che purtroppo non ha avuto lunga vita. I pregi maggiori di tale edizione sono la presenza di Luciano Pavarotti e la direzione di James Levine. Il resto non è, a mio avviso, sullo stesso alto livello. Sherril Milnes nel 1988 cominciava a dar segni di stanchezza, Eva Marton ha voce potente, ma non mi sembra adatta al personaggio di Leonora, Dolora Zajick canta bene, ma ha una dizione italiana che ne compromette in parte l’interpretazione, Jeffrey Wells è un Ferrando forse da dimenticare. Lo spettacolo ha la regia di Fabrizio Melano con le scene di Ezio Frigerio e i costumi della Squarciapino: nulla di memorabile, più che altro sembra il riciclaggio di altri allestimenti già visti all’epoca. Buona la ripresa tv a cura di Brian Large.
Ecco l’immancabile pira:
e un momento che vede insieme i tre protagonisti:
Quinto numero: Otello. Di nuovo Metropolitan, nuovamente James Levine. Nel ruolo eponimo Placido Domingo, che nel 1995 (anno della registrazione dello spettacolo) ne era forse il miglior interprete. Al suo fianco la Desdemona di Renée Fleming e lo Jago di James Morris. La regia dello spettacolo, molto tradizionale, è di Elijah Moshinskij e proviene dal Covent Garden. Se devo esser sincero non ho mai particolarmente apprezzato questa edizione: forse il tentativo del regista e del direttore di depurare l’esecuzione dell’opera di ogni possibile eccesso ha finito col produrre uno spettacolo corretto, ben cantato, ma tutto sommato un po’ carente di pathos. Comunque, al di là dei miei gusti individuali, è una produzione di buon livello, con momenti anche molto riusciti: fra tutti il finale del terzo atto, dove finalmente si riescono ad ascoltare (e anche vedere) le trame che nel concertato generale Jago continua a tessere.
Sesto numero: Nabucco. Un’edizione per certi versi storica. Teatro alla Scala 1986: spettacolo inaugurale. Segnò l’inizio dell’era Muti (se così posso definirla) e presenta il Maestro in un momento particolarmente felice . Muti è in luna di miele con la Scala e con il pubblico milanese e dà il meglio di sé in questo Nabucco. A mo’ di esempio questo video in cui un pubblico osannante chiede il bis del Va’ pensiero e Muti con “soddisfatta rassegnazione” lo concede.
A vederlo piange davvero il cuore a pensare al divorzio insanabile tra il Teatro milanese e Muti dopo un connubio di 19 anni. Renato Bruson è Nabucodonosor ed è veramente esemplare. Ghena Dimitrova (Abigaille) e Paata Burchuladze (Zaccaria) erano tra le presenze abituali della Scala di quegli anni. Voci torrenziali, tenute comunque a freno da Muti. Lo spettacolo ebbe la diretta tv Rai il 7 dicembre, la ripresa tv è di quel mago della regia televisiva che risponde al nome di Brian Large. Insomma un’altra Scala, un’altra Rai, un’altra Italia…. Migliori? Fate un po’ voi…
Col settimo numero, Don Carlo, torniamo al Met dell’era Levine. Spettacolo del 26 marzo 1983, regìa di John Dexter. Riassume al meglio le caratteristiche del Met di quegli anni. Lo spettacolo tradizionalissimo funziona bene grazie soprattutto alla grande presenza scenica dei protagonisti principali. Placido Domingo (Carlo), Nikolai Ghiaurov (Filippo II), Mirella Freni (Elisabetta) sono decisamente al meglio della loro vocalità e della loro capacità interpretativa. Notevole anche la Eboli della Bumbry. Meno convincenti l’Inquisitore di Ferruccio Furlanetto e soprattutto il Rodrigo di Louis Quilico. Ottima la direzione di Levine, che per questa edizione sceglie la versione in cinque atti con il Preludio e il Coro dei Boscaioli all’inizio. Scelta molto indovinata, in quanto il leitmotiv, che poi introdurrà il monologo di Filippo II, è già ascoltabile nelle prime note dell’opera. Proprio questo inizio è quello che voglio proporvi come esempio:
Una curiosità: giusto venti anni fa Raitre trasmise questa edizione in varie puntate pomeridiane, in un programma in cui si aveva la pretesa di trattare l’opera come una telenovela, partendo dal principio che così come concepita dagli autori non avesse senso in tv. Naturalmente l’esperimento durato un paio di mesi con vari titoli così smembrati fu un fallimento: non avvicinò nessuno al melodramma, irritò coloro che lo amavano, fece rivoltare in varie tombe musicisti che meritano di riposare in santa pace.
Ottava uscita: Macbeth. Stavolta un filmopera del 1987. Regista Claude d’Anna. Il film utilizza come “colonna sonora” l’incisione Decca diretta da Riccardo Chailly, registrata a tal fine. Il film non mi pare che abbia avuto in Italia una distribuzione nelle sale cinematografiche, in compenso fu trasmesso in tv dalla Rai in tarda serata. È, secondo me, insieme alla Carmen di Francesco Rosi e al Flauto Magico di Bergman il filmopera più riuscito. La parte musicale è di altissimo livello. Leo Nucci e Shirley Verrett sono due eccellenti protagonisti, sia per interpretazione musicale che cinematografica. Samuel Ramey (Banco) e Veriano Luchetti (Macduff) danno la voce a due attori. La Dama di Lady Macbeth è nientemeno che Anna Caterina Antonacci. La parte musicale fu registrata a Bologna, il film fu girato in Belgio al Castello di Bouillon. Dovrebbe essere compreso come bonus (nell’originale c’è) il making of del film.
Ecco un estratto del making of:
e relativa scena:
Come annunciato nei commenti recenti la nona uscita, già in edicola, è Un ballo in maschera. Bella edizione del 1991, già uscita più volte in edicola in altre collane. Metropolitan Opera House e James Levine, che di questa serie stanno divenendo i protagonisti assoluti. Lo spettacolo porta la firma di Piero Faggioni ed è molto tradizionale. Pavarotti è un ottimo protagonista, nella parte di Amelia Aprile Millo in una delle rare testimonianze della sua breve carriera, Leo Nucci è Renato. Florence Quivar (Ulrica) e Harolyn Blackwell completano il cast dei personaggi principali. Regia tv di Brian Large. Vi propongo il finale:
Decima uscita, con un po’ di ritardo nella distribuzione: Ernani. Edizione del Met diretta da Levine, tanto per non smentirsi. La regia è di Pier Luigi Samaritani ed è quanto di più tradizonale si possa immaginare. Il pregio maggiore dell’edizione è la presenza di Luciano Pavarotti, nel ruolo eponimo. Accanto a lui Leona Mitchell nel ruolo di Elvira, Sherril Milnes in quello di Carlo e Ruggero Raimondi in quello di Silva. La regia tv è di Kirk Browning e rende bene l’idea dello spettacolo.
Undicesimo numero, già in edicola: Falstaff. L’edizione è quella diretta da Giulini e ripresa al Covent Garden di Londra il 1982. Questo Falstaff, prodotto a Los Angeles e poi riproposto a Londra e a Firenze, segnò il ritorno del grande Maestro italiano al teatro lirico. Un grande ritorno che fece epoca. L’interpretazione di Giulini fu un po’ una svolta abbandonando i Falstaff vitalistici e un po’ macchiettistici per una visione meno buffa, più crepuscolare che fece storcere il naso a molti critici del tempo. Fece però scuola, da allora molti interpreti accolsero questa diversa prospettiva interpretativa , che oggi quasi quasi è la predominante. Cast vocale di grandissimo livello: Renato Bruson, Leo Nucci, Katia Ricciarelli, Lucia Valentini Terrani, Barbara Hendricks, Dalmacio Gonzales... insomma lo stesso dell’edizione discografica, che fu registrata live a Los Angeles. La regia è tradizionale (Giulini non avrebbe mai accettato diversamente). La ripresa tv è di Brian Large. Forse audio e video risentono un po’ gli annetti, ma ne vale comunque la pena: difficile trovare di meglio dal punto di vista artistico. Ecco il finale con gli appalusi trionfali a tutto il cast:
Con la dodicesima uscita, dopo un’escursione londinese, si torna puntualmente e fedelmente al Met e a Jimmy Levine. È comunque un bel ritorno poiché l’edizione di Stiffelio proposta merita attenzione, non solo perché si tratta di un’opera poco conosciuta, ma anche perché lo spettacolo e il cast sono di ottimo livello. Si potrebbe malpensare che uscendo fuori dalla routine il teatro newyorkese dia il meglio di sé e chissà che “peccando” non si colga nel segno. Lo spettacolo ha la regia di Giancarlo Del Monaco, molto curata e lineare, Domingo è un valido protagonista e la parte gli si addice, Sharon Sweet dà una delle sue prove migliori, Vladimir Chernov è un ottimo Stankar. Validissimi i comprimari con Paul Plishka nella parte di Jorg. Ecco un estratto dall’edizione: la prima e seconda scena del primo atto:
La tredicesima uscita rimane fedelissima al Met e a Levine: si tratta di una Luisa Miller del gennaio 1979. Il cast vocale presenta il meglio che il teatro newyorkese offriva all’epoca: Renata Scotto, Placido Domingo, Sherril Milnes. La direzione di Levine è ottima. Lo spettacolo è secondo tradizione. Ecco Domingo nell’aria di Rodolfo:
La collana, con la quattordicesima uscita, si avvia alla conclusione: il prossimo numero sarà l’ultimo. La forza del destino, in edicola da ieri, con una distribuzione ormai da caccia al tesoro, ripresenta per una ennesima volta il Metropolitan e Jimmy Levine. È uno spettacolo del 24 marzo 1984 che segnava l’addio della grande Leontyne Price al ruolo di Leonora sulle scene del teatro newyorkese. L’addio al Met avverrà l’anno successivo con Aida. Lo spettacolo ruota attorno a lei, che riceve già un’ovazione appena appare in scena e viene coperta da lanci di fiori alla fine. 57enne non è più la Price che incise la parte in una memorabile versione di 20 anni prima diretta da Schippers e neppure quella della versione successiva di 8 anni prima. La grande inteprete c’è sempre, la voce naturalmente non è più la stessa (altrimenti non sarebbe una serata d’addio). Sono eventi che in teatro hanno ragion d’essere e che bisogna vivere in loco, con l’emozione che comportano e con l’indulgenza opportuna, hanno senso anche in diretta tv; l’archiviazione in supporti come il DVD può non essere invece del tutto positiva se non si tiene conto di ciò che l’evento registrato è. In altre parole qui l’opera è più il mezzo che non il fine. Nel resto del cast emerge un ottimo LeoNucci nella parte di Don Carlo. C’è l’occasione di ascoltare e vedere Giuseppe Giacomini nella parte di Don Alvaro, parte che in cui debuttò al Met 8 anni prima. Bonaldo Giaiotti è un appropriato Padre Guardiano. Isola Jones, presenza quasi fissa al Met in quegli anni dove si contano più di 500 performance, è Preziosilla, sensualissima nella figura, forse un po’ meno nella voce. Enrico Fissore propone un Melitone un po’ sopra le righe. Energica la direzione di Levine, anche se in disco aveva fatto di meglio. La regia di John Dexter è tradizionalissima che più non si può. La ripresa tv di Kirk Browning privilegia i primi piani all’insieme, come nello stile di questo regista. Un breve estratto:
Col quindicesimo numero, uscito forse casualmente nella settimana in cui si ricorda l’anniversario della morte di Verdi, la collana è giunta al termine. Simon Boccanegra, edizione Met diretta da Levine. Un’edizione del 1984 con Sherril Milnes come protagonista. Al suo fianco Anna Tomowa-Sintow nel ruolo di Amelia, Vasile Moldoveanu nel ruolo di Adorno, Paul Plishka in quello di Jacopo Fiesco. La DGG (da cui la Mondadori ha principalmente attinto per questa collana) ha inserito in catalogo da poco questa edizione affiancandola a un’altra del Met del 1995 precedentemete pubblicata. A mio modestissimo parere nessuna delle due è particolarmente memorabile: siamo in entrambi i casi in produzioni che soddisfano ampiamente gli abbonati a una stagione d’opera, nonché i fortunati telespettatori di quelle reti che trasmettono anche in diretta le opere, ma che forse poi non meriterebbero di essere immortalate in DVD, tranne che la ragione non sia quella di testimoniare l’attività di un ente lirico in un determinato periodo. Il Simon Boccanegra conta numerose edizioni video, ma nessuna purtroppo che possa essere considerata al top, essendo scandalosamente assente quella che spiazzerebbe ogni possibile concorrenza ponendosi al vertice della storia dell’interpretazione operistica. Mi riferisco alla produzione scaligera diretta da Abbado negli anni 70, che la Rai trasmise in tv, ma che giace negli archivi in attesa (forse) di sdoganamenti. Varie le ipotesi su tale embargo: la Scala non concede i diritti? la infima qualità della ripresa tv Rai in audio e video? La seconda ipotesi sarebbe più verosimile: secondo una fonte affidabile pare che la Rai riciclasse per queste opere degli ampex già utilizzati per le partite di calcio e che la voce del telecronista emergerebbe come sottofondo una volta effettuata la rimasterizzazione digitale. Vero? Non saprei, comunque più che possibile. Rodendoci un po’ di rabbia non possiamo far altro che ascoltare un estratto da questa dignitosa versione del Met in edicola da ieri: