Stasera alle 21:15 (con repliche nei prossimi giorni) su Rai 5 andrà in onda I Puritani di Vincenzo Bellini nell’allestimento dell’Opera di Firenze andato in scena dal 28 gennaio al 10 febbraio uu.ss. Lo spettacolo è coprodotto con il Teatro Regio di Torino dove sarà rappresentato nel prossimo aprile con altro cast.
La regia è di Fabio Ceresa, dirige Matteo Beltrami.
Nel cast: Jessica Pratt, Antonino Siragusa, Massimo Cavalletti, Gianluca Buratto, Rossana Rinaldi, Saverio Fiore, Gianluca Margheri.
La recensione di Fabrizio Moschini:
http://www.operaclick.com/recensioni/teatrale/firenze-teatro-dellopera-i-puritani
La recensione di Gianmarco Gurioli:
http://www.gbopera.it/2015/01/scienza-e-belcanto-allopera-di-firenze-i-puritani/
Le note di regia:
<<Quanto tempo trascorre tra il primo e il terzo atto de I Puritani? Poco più di trenta minuti, per lo spettatore. Tre mesi, secondo Arturo. Ma addirittura tre secoli per Elvira, che dilata i momenti dell’attesa fino all’esasperazione.
Da sempre, il mistero del tempo è al centro della ricerca filosofica dell’uomo. La sua misura, la sua origine e il suo scorrere esercitano un fascino indiscutibile su ogni genere di pensiero, sia esso scientifico o artistico. È anzi proprio il suo riflesso astratto ad accomunare le due discipline: perché così come l’arte anche la scienza, prima di essere calcolo, è soprattutto visione. Scienza e arte sono attività visionarie. Ed è la capacità di “vedere oltre” che spinge l’umanità verso traguardi sempre più alti.
La rivoluzione del concetto moderno di tempo si deve ad una mente visionaria. Artista prima che scienziato, Albert Einstein ha formulato la teoria della relatività generale illuminato da uno spirito di intuizione astratta. Un’equazione miracolosa che modifica, semplificandola, la descrizione fisica del mondo.
Così come ogni altro corpo celeste, il Sole ha una massa tale da piegare lo spazio intorno a sé: la terra non gira perché attratta da una strana forza, ma perché corre dritta in uno spazio che si inclina. E questo non accade solo allo spazio, ma anche al tempo: il tempo si incurva, e scorre in maniera diversa per chi si trova più lontano o più vicino alle stelle.
Nei primi raggi del sole che penetrano l’oscurità nella grande scena iniziale de I Puritani si può scegliere di vedere un fenomeno fisico che relativizza il tempo, facendo muovere su binari distinti i diversi personaggi del dramma. Arturo si allontana da Elvira come partendo per una sorta di viaggio astrale, tornando dopo quelli che crede essere solo pochi giorni.
Ma per chi resta, il tempo scorre diversamente. Quante cose possono accadere in trecento anni? Il tempo ha fatto crollare le torri del castello, ha scoperchiato i tetti, infranto le vetrate, sgretolato le pietre fino a farle diventare polvere. Giorno dopo giorno la pelle delle mani si è avvizzita, si è ritirata mostrando le ossa: i personaggi crescono, diventano vecchi, morti, fantasmi senza pace, sospesi in una dimensione a metà tra la notte e l’alba, tra la veglia e il sonno.
Non solo. Le implicazioni del concetto di tempo della teoria della relatività sembrano suggerire che il tempo sia elastico, e che esso non scorra in maniera uniforme, come sembrerebbe dalla nostra esperienza quotidiana: non ha quindi alcun senso suddividerlo in passato, presente e futuro. Il passare del tempo non è allora niente più che un’illusione?
Da questa sorprendente domanda è nata la ricerca di un concetto drammaturgico di Puritaniche potesse indagare l’enorme mole di concetti ancora inesplorati del testo.
Immaginiamo di voler prendere alla lettera l’affermazione di Riccardo nell’incipit della sua aria: “Ah, per sempre io ti perdei”. In questo senso le sue parole possono assumere il valore di un’orazione funebre: Riccardo ha perso Elvira perché Elvira non è più. L’attesa l’ha consumata e l’ha portata alla morte; a Riccardo non resta che piangere sulla sua tomba. Si uniscono tra loro le componenti di quella che sembra essere una prolessi, più comunemente nota comeflashfarward: la rappresentazione di un evento successivo al tempo della storia di cui parla l’opera. Arturo fuggito, Elvira impazzita, la sua morte invendicata e, come nella fiaba della belle au bois dormant, tutto il castello sospeso nell’attesa. I guerrieri sono diventati fantasmi che non trovano pace, costretti a ripetere in eterno la stessa battaglia, aspettando una redenzione negata. Redenzione che potranno trovare solo al compimento della propria promessa – uccidere Arturo, vendicare Elvira. Ma il tempo passa, Arturo non torna. I morti si ritrovano sospesi in un mondo incorporeo, mentre la pace eterna chiude loro le porte.
Ecco perché lo squillo iniziale degli ottoni ci trasmette un brivido incomprensibile di ignoto: è la tromba del giudizio universale, tuba mirum spargens sonum, che chiama le anime dai sepolcri alla salvezza eterna; ma dai sepolcri non escono che spiriti erranti che non possono ancora liberarsi del tutto dalle proprie spoglie mortali. In Riccardo, unico sopravvissuto, risiede la loro unica speranza. Se riuscirà ad uccidere Arturo, potrà liberare le anime del mondo.
Dal presente-futuro ci ritroviamo così in un presente-passato. A partire dal grande duetto tra Elvira e Giorgio, la storia torna a correre su un binario lineare: stiamo ripercorrendo i fatti che spingeranno i personaggi verso il loro destino. Elvira è data in sposa ad Arturo, ma Arturo fugge e la abbandona alla follia. Questa direzione è suggerita dal grande velo nuziale che, percepito da tutti come candido, è invece di colore nero; un sudario funebre che si stende sui protagonisti come una tetra anticipazione di morte.
Il secondo atto segue concettualmente il primo. Nel parossismo dell’attesa, Elvira si è logorata ed è diventata folle: tutto si apparecchia per la battaglia finale, quella in cui i nodi verranno al pettine e Riccardo, uccidendo Arturo, potrà vendicarsi e riportare in equilibrio le leggi della natura. Suoni la tromba: venga il giudizio finale, siamo pronti per l’armageddon. Non esiste altra strada per la salvazione che non attraversi l’arido campo di battaglia di una vendetta?
Nel terzo atto ci troviamo in una dimensione temporale che non è né presente né futuro, ma quasi una linea parallela, alternativa. Torna dal suo viaggio Arturo. Torna dal suo viaggio di tre mesi, e si rende conto che sono trascorsi invece trecento anni; capisce di trovarsi di fronte non ad Elvira, ma al suo fantasma; che il mondo così come lo conosce non esiste di più. Così come avviene nelle leggende tradizionali scozzesi quando il pellegrino sprovveduto si ritrova stretto nel cerchio delle fate: costretto a danzare per un’intera notte, comprende all’alba di essere scomparso per un secolo.
Tutto è pronto: i morti si sono nuovamente risvegliati, Arturo è fatto prigioniero. Riccardo ha la spada in pugno: un solo fendente, e le anime saranno finalmente libere. Ma qualcosa interviene nella sua coscienza, e rischia di compromettere secoli di attesa. Mentre i guerrieri lo incitano alla vendetta, Riccardo sente mancare la forza nel braccio a mano a mano che un’altra forza si impadronisce nel suo cuore. Ecco l’alternativa suggerita da Giorgio, ecco la strada parallela in grado di sovvertire l’ordine del cosmo. Una parola prende forma nella sua volontà: il perdono.
Per l’ultima volta suona la tromba del giudizio: un messaggio, un divin raggio. Il perdono di Riccardo si sovrappone al perdono divino: un perdono universale, di portata totalizzante. Alla vendetta si sostituisce la grazia; la giustizia cede il passo alla misericordia. E’ questo un messaggio di commovente bellezza, in cui credo di trovare il significato più autentico de I Puritani. Il pentimento porta al perdono, e il perdono alla pace. Tutte le anime vengono finalmente liberate, i peccati dimenticati. Gli spiriti possono finalmente abbandonare l’ombra e librarsi, come scintille di pura luce, verso l’infinita eternità del cielo.
Come rendere sulla scena l’immagine di relatività e dilatazione del tempo? Gran parte del compito spetterà alle immaginifiche scene di Tiziano Santi ed agli splendidi costumi di Giuseppe Palella. Il primo atto si aprirà sul buio di un limbo sospeso tra la vita e la morte. La scena svelata dalla luce sarà la vertiginosa visione prospettica di una cattedrale gotica: quella stessa volta, nel procedere dell’opera, rovinerà su se stessa come se fossero passati secoli, fino a ridursi nel finale ad un paesaggio lunare, sgretolato, eroso, consunto: pulvis et in pulverem. I costumi seguiranno le stesse suggestioni. Ogni dettaglio dell’abito di Elvira verrà ridotto a brandelli dall’inflessibile muoversi delle lancette dell’orologio.
Se vi è del resto una pagina della storia della musica in cui la percezione soggettiva del tempo viene portata alle estreme conseguenze, questa è proprio il belcanto. Nelle grandi arie, e ancor più nelle cadenze finali affidate alla libera espressione dell’interprete, il tempo smette di scorrere: come se per un istante l’anima si sciogliesse dal corpo, sospesa in uno stato d’animo di squisita soggettività, e la voce galleggiasse in un universo astratto, estraneo alla realtà oggettiva.
Né credo che queste considerazioni debbano pregiudicare la godibilità dello spettacolo, e sovrapporsi in maniera ingombrante alla purezza della storia narrata dall’opera. Condivido i miei pensieri con chi legge, perché possa trovare con me nuovi spunti di riflessione; ma consegno a chi guarda una narrazione che prescinde le macchine dei concetti, e segue con orgogliosa semplicità lo svolgersi degli eventi del dramma.
A questo proposito, ho operato una sola scelta stilistica che si discosta dalla tradizione. Il taglio dei costumi non evoca il gusto secentesco, ma punta decisamente ad una commistione di elementi ottocenteschi e medievaleggianti. Tale scelta non è stata tuttavia dettata dal capriccio di una predilezione estetica, ma rappresenta anzi il punto d’arrivo di una necessità testuale.
Ne I Puritani, l’Inghilterra del XVII sembra essere un’indicazione niente più che formale. Tolti gli accenni delle didascalie e gli ovvi riferimenti del testo agli Stuart, a Cromwell ed al parlamento anglicano, il libretto sembra muoversi in tutt’altra direzione. Ovunque è un fiorire di castelli, arpe, fantasmi, trovatori, giostre e cavalieri: un immaginario molto più vicino al romanticismo di Scott, di Walpole, di Berchet. Se decidiamo di affidarci al verso cantato e non all’indicazione storica del frontespizio, scopriamo che Puritaniricorda molto più da vicino il medioevo ottocentesco di Lucia e Trovatore che non il dramma storico di Maria Stuarda e Devereux.
E’ possibile viaggiare nel tempo? Innumerevoli domande sono aperte sui misteri dell’ignoto, domande cui la scienza sta per rispondere con nuove straordinarie scoperte. Ma là dove la scienza deve ancora trovare risposte, l’arte già indica la via, e ci suggerisce di sì.>>
Tag: Bellini, classica, I Puritani, lirica, music, musica, opera, operalirica, Rai 5
Maggio 25, 2019 alle 11:38
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novembre 27, 2021 alle 17:01
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