Domani andrà in onda su Rai 5 Un ballo in maschera di Verdi registrato alla Scala il 15 maggio 2001. Spettacolo con la regia di Liliana Cavani e la direzione di Riccardo Muti. Nel cast Salvatore Licitra, Maria Guleghina, Bruno Caproni, Mariana Pentcheva, Ofelia Sala nei ruoli principali.
Alla prima rappresentazione ci fu qualche dissenso, come risulta dalla recensione del compianto Sergio Sablich:
http://www.giornaledellamusica.it/rol/?id=754
e dalla cronaca di Laura Dubini:
http://archiviostorico.corriere.it/2001/maggio/14/Scala_festa_per_Muti_Cavani_co_0_0105148643.shtml
Lo stesso anche nella recensione di Paolo Gallarati su La Stampa, che riporto.
«Un ballo in maschera» torna alla Scala dopo quattordici anni: una lunga assenza per la più mozartiana delle opere di Verdi, dove non solo la scena del ballo è chiaramente modellata sul finale primo del «Don Giovanni», ma l’elemento mozartiano è presente nella misura i cui il sorriso, la grazia, l’ironia, accompagnano la passione e volteggiano sui presagi di morte. Tocca al direttore, prima di tutti, amalgamare questi elementi, e far sì che la grande partitura possa irradiare la molteplicità dei suoi significati.
L’impresa, come noto, è assai difficile, ma Riccardo Muti ha dato qui un’altra delle sue prove di lettura penetrante e squisita sensibilità nel tradurre le indicazioni di Verdi. Sin dal preludio, l’orchestra ha suonato con energia, precisione, ma senza rigidezze, con un fraseggio elastico e sonorità corpose, trasparenti. Nel «Ballo», i contrasti nettissimi di «Rigoletto» «Trovatore» e «Traviata» vengono ammorbiditi in un gioco di sfumature: ecco quindi Muti avvolgere la passione infelice di Amelia e Riccardo in sonorità vaporose, caldi efflussi di violoncelli, accompagnamenti soffici e cullanti, ed improvvisamente lasciare che su questo velluto brillino, come perle, i ritmi delle danze, gli scatti ritmici di quella mondanità che circonda la corte dell’infelice governatore di Boston, e dà ai suoi modi un’elegante sprezzatura, riflessa nei guizzi del paggio Oscar. Tutto scintilla, dunque, in un gioco di riflessi, ma senza sfacciataggine, come talvolta, purtroppo, accade: basta sentire con quale luminosità l’ottavino sottolinea i gorgheggi del paggio, o come viene reso il ritmo della mazurca di morte, con la seconda nota della cellula ritmica lievemente più tenuta del solito, il che l’ammorbidisce, togliendole ogni secchezza, e riempie la favolosa scena con un senso di mistero.
I cantanti si sono prodigati con alterni risultati per entrare nella visione così complessa e articolata di Muti. Salvatore Licitra è un buon tenore, canta con dizione chiarissima, ed è vocalmente efficace. Gli manca un poco l’eleganza e la sprezzatura del personaggio, lo slancio della giovinezza sognante e generosa. Maria Guleghina riesce piuttosto bene nei momenti lirici che costellano il duetto del secondo atto, e nell’aria del terzo, quando Amelia chiede al marito, deciso ad ucciderla, di poter riabbracciare ancora una volta il figlio: melodia intrisa di pianto e di dolore, cantata con vera intensità nell’atmosfera raggelante del teatro. I loggionisti, infatti, erano furibondi, non tanto perché la Guleghina tratteggia un personaggio un poco generico, ma per alcuni acuti mal piazzati: così, alla fine dello spettacolo, hanno contestato vivacemente non solo lei, ma tutti i cantanti, con reazioni decisamente sproporzionate ai supposti misfatti e poco realistiche, visti i tempi che corrono. Il personaggio di Renato è stato sdoppiato tra due interpreti: Ambrogio Maestri non stava bene e si è fato sostituire da Bruno Caproni nel terzo atto. La sua esecuzione dell’aria «Eri tu» è stata vocalmente pulita e attendibile dal punto di vista espressivo, ma non è riuscita a smontare il broncio perdurante del loggione.
La più brava è parsa Ofelia Sala nella parte del paggio Oscar, resa con una vocina trillante e agile, di timbro gradevole; buona, seppure di peso piuttosto leggero, Mariana Pentcheva come Ulrica. La regia di Liliana Cavani, con scene monumentali in stile neoclassico-coloniale di Dante Ferretti e costumi di Gabriella Pescucci, ha servito l’azione con discrezione, belle luci e movimenti garbati: una regia un poco prevedibile ma posta gradevolmente al servizio della musica. Alla fine, come s’è detto il pubblico si è diviso tra applausi e dissensi altrettanto convinti. © La Stampa / P. Gallarati
Tag: Maria Guleghina, musicaclassica, opera, operaintv, Rai 5, Riccardo Muti, Salvatore Licitra, televisione, TV, Un ballo in maschera, Verdi
febbraio 10, 2018 alle 15:16
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gennaio 14, 2023 alle 09:49
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