I Lombardi alla Prima Crociata, secondo una classifica, sarebbe al 22° posto tra le opere di Verdi più rappresentate al mondo, tra le opere in generale si piazzerebbe oltre 400° posto. Non so quanto sia attendibile questa classifica, comunque di sicuro c’è che al Regio di Torino mancava dalla Stagione 1926/27, praticamente 92 anni: decisamente tanti, direi troppi. Però alla Scala non è che vada molto meglio: dal 1930, con cui inaugurò la Stagione, si giunse al 1984 (ripresa nel 1986), poi nulla. Fu la prima opera verdiana rappresentata negli USA (3 marzo 1847 alla Palmo’s Opera House di New York), ma per la prima al Metropolitan si dovette attendere (se non sbaglio) la Stagione 1993/94 con Pavarotti nel ruolo di Oronte. Non è che discograficamente le cose vadano molto meglio: alla versione Cetra del Cinquantenario verdiano, seguirono le versioni di Gardelli nel 1972 per Philips e del 1983 per Hungaroton, quindi quella di Levine che seguì nel 1996 le recite del Met. Poi qualche “live” come quello del 1969 diretto da Gavazzeni all’Opera di Roma, quello diretto da Eve Queler del 1972 alla Carnegie Hall di New York, quello del Teatro Ponchielli di Cremona del 2001 e quello (sia video che audio) del 2009 del Regio di Parma, cui si aggiunge il video dello spettacolo scaligero del 1984. Insomma la quarta opera di Verdi è quasi una rarità. Ingiustamente, a mio parere. Notevoli e numerose le pagine corali trascinanti, fin dall’inizio dell’opera. Momenti altissimi come la preghiera di Giselda nel primo atto o come la celebre aria di Oronte nel secondo. Per non dire dell’interludio con violino solista del terzo e della scena successiva. Poi il concertato con cui termina il primo atto e il finale del secondo atto, il coro delle vergini del primo atto… Vabbè poi la pagina celeberrima (“O Signore dal tetto natio”)… insomma ce n’è in abbondanza per amare quest’opera, non solo perché anticipa il Verdi successivo, ma anche per se stessa. Bene quindi ha fatto il Regio a riportarla in scena e per me era il titolo più atteso della Stagione.

Scena dal primo atto © Ramelle e Giannese
L’allestimento è una coproduzione con l’Opéra Royal de Wallonie-Liège firmata da Stefano Mazzonis di Pralafera. In realtà a Liegi andò in scena Jérusalem (il rifacimento dell’opera in francese con trama un po’ diversa), a Torino l’allestimento è stato riadattato per I Lombardi. Di tale allestimento ho letto giudizi spietati o al limite frasi eufemistiche per non dire male. Mah, il torto sarebbe quello soprattutto di aver rispettato l’epoca in cui è ambientata l’opera, non aver tentato ardite riletture innovative portando il tutto magari nella contemporaneità, insomma non aver seguito la moda ormai imperante nei grandi teatri. Secondo me invece tutto ciò è quasi un merito, non perché io non ami gli spettacoli “innovatori” (quando sono riusciti li adoro), ma perché tentare riletture in un’opera che è ignota ai più sarebbe stato a mio parere negativo. Ho visto molti spettatori che durante lo spettacolo accendevano le torcia dello smartphone per leggere sulla scheda di sala la trama dell’opera a loro sconosciuta, ora sottoporli a una rilettura sarebbe stato uno stupido atto di sadismo. Sì, sembra di ritornare indietro di quasi 50 anni, quando si andava a teatro d’opera pensando agli autori e non ai registi e per ascoltare i cantanti. Secondo alcuni il Regista non ha curato la recitazione dei cantanti e ha lasciato le masse corali a se stesse. Forse, ma una volta scelto di fare uno spettacolo di tradizione che cosa avrebbero dovuto fare cantanti e masse corali? A me comunque lo spettacolo non è spiaciuto, l’ho preferito e di gran lunga a una Turandot incomprensibile, a un Tristano che gridava vendetta al cospetto di Wagner e anche a un Falstaff tutto sommato irrisolto.

Scena finale © Ramella e Giannese
Tutti concordi invece sulla eccellenza della parte musicale. In primis Michele Mariotti, giovanissimo direttore, sempre più convincente. Ama quest’opera e lo dimostra ampiamente. Direzione elegante che evita la tentazione della eccessiva marzialità di alcuni punti, ma tesa a sottolineare piuttosto i dettagli di una partitura complessa. Poi lo splendido Coro del Regio, istruito da Andrea Secchi, che in quest’opera ha un ruolo importantissimo fin dall’inizio. Tra i cantanti Angela Meade (Giselda) ha una tecnica ottima, emissione sicura, un timbro seducente, perfetta padronanza del registro acuto.

Angela Meade © Ramella e Giannese
Francesco Meli (Oronte) si conferma sempre più grande interprete: un Oronte eccellente che ha conquistato il pubblico fin dalla celebre romanza (La mia letizia..). Libero da imposizioni registiche ha cantato avanti nel proscenio ben proiettando la voce nella sala (un po’ come si faceva in passato) e le ovazioni non sono mancate.

Angela Meade e Francesco Meli © Ramella e Giannese
Alex Esposito ha ben interpretato il ruolo di Pagano esprimendone l’intimo rovello, il senso di colpa, la veemenza dell’assassino, la ieraticità dell’eremita. Un interprete completo.

Alex Esposito a sx nel ruolo dell’Eremita (Pagano) © Ramella e Giannese
Giuseppe Gipali è un ottimo Arvino, notevolissimo il Pirro di Antonio Di Matteo. Il cast è completato da Lavinia Bini (Viclinda), Joshua Sanders (Priore), Alexandra Zabala (Sofia), Giuseppe Capoferri (Acciano). Merita dovuta menzione Stefano Vagnarelli, violino solista nell’interludio.

Angela Meade e il Coro © Ramella e Giannese
Grandi applausi e successo di pubblico. Dovranno passare altri 90 anni per rivedere I Lombardi? Spero di no. Esecuzioni come questa rendono giustizia a un’opera che merita maggior diffusione.