La Stagione lirica al Teatro Superga prosegue con un altro titolo piuttosto inconsueto, almeno nelle istituzioni minori: il Werther di Jules Massenet. Come ho già rilevato, in questa stagione la Direzione artistica del Teatro ha dimostrato un coraggio, una volontà di rinnovamento che è encomiabile, soprattutto se si considerano i tempi grigi che stiamo attraversando. Ha anche voluto affiancare una breve stagione sinfonica di cinque appuntamenti. Constatare che in Italia c’è chi crede che la Cultura sia un motore di rilancio in momenti di crisi e non lo fa con le solite parole buttate lì in campagna elettorale, ma con fatti concreti e tangibili conforta e lascia sperare in un domani migliore. Questo giusto riconoscimento all’Assessore alla Cultura, che conosce il vero significato della parola, del comune di Nichelino mi è parso più che doveroso. Dunque il Werther. Scrivo subito che si è trattato di una bellissima edizione, ottima sotto tutti gli aspetti. Il merito ovviamente va a tutti gli interpreti, ma darei il merito principale al direttore d’orchestra Stefano Giaroli, animatore e presidente della Compagnia “Fantasia in re”, che al Superga è un po’ ormai di casa.

Stefano Giaroli
Credo che questo Werther sia stato un po’ un debutto, in quanto non mi risulta che lo avessero già rappresentato. Se così è, un debutto felicissimo. Giaroli ce l’ha messa proprio tutta. Evidentemente ama questa partitura (non so dargli torto, anzi condivido pienamente con lui), ne ha dato una lettura intensa, trascinante, appassionata e nello stesso tempo ricca di quelle nuances tipicamente francesi. Ha pienamente coinvolto l’Orchestra Sinfonica dei Cantieri, che ha dato una prova maiuscola sia nell’insieme che nelle prime parti. Così anche il cast vocale. Dal protagonista Alejandro Escobar, già applaudito in precedenti produzioni, ottimo Werther, applauditissimo nel Pourquoi me réveiller, ma efficacissimo già a partire da Je ne sais si je veille ou si je rêve encore!. Non di meno la Charlotte di Giorgia Bertagni, sempre misuratissima, mai sopra le righe neppure nel bellissimo Va! laisse couler mes larmes, che spesso viene impropriamente enfatizzato. Splendido poi il magico duetto au clair de lune, delicato fin dal Il faut nous separer. Donato Di Gioia è stato un Albert contenuto ed equilibrato. La bella Elena Rossi è una Sophie deliziosa e vivace, fresca e piena di brio senza smancerie.
Da menzionare ancora l’efficace Borgomastro di Luca Gallo, i simpatici Giovanni Maria Palmia e Massimiliano Catellani nelle parti di Schmidt e Johann, Agnese Bertani e Luca Giorgi in quelle di Kätchen e Brühlmann e le Voci Bianche della Corale Verdi di Parma nel ruolo dei Ragazzi. La regia di Maura Ippoliti è stato un raro esempio di sobrietà ed efficacia, di come si possa fare teatro senza stravolgere drammaturgie, ricorrere a stramberie, ma rispettando l’Autore e, diciamolo, anche il buon gusto e l’intelligenza degli spettatori. Cose tutto sommato elementari che nelle grandi istituzioni liriche hanno ormai dimenticato…