
Pier Luigi Pizzi è un “giovane” quasi novantenne (lo scrivo senza alcuna ironia e con il massimo rispetto, poiché ha una vitalità, una energia, una apertura mentale che i suoi colleghi quarantenni potrebbero invidiargli e a buon titolo). Al Regio di Torino nello scorso mese ha curato regia, scene e costumi di ben due opere andate in scena in contemporanea. Pizzi dopo una attività intensa di scenografo e costumista anche nell’opera si cimentò anche nella regia esordendo proprio al Regio di Torino con il Don Giovanni di Mozart nel maggio 1977. Essendo anch’io un “giovanotto” over…. posso vantare di aver assistito a questo esordio: spettacolo indimenticabile anche per la presenza di Ruggero Raimondi nel ruolo eponimo.

Scena dal Don Giovanni del 1977
I ritorni di Pizzi al Regio sono stati sempre salutati con successo e ammirazione. Vale anche per questa volta. Il matrimonio segreto è la ripresa di uno spettacolo andato in scena a Martina Franca la scorsa estate, adattandolo al palcoscenico del Regio di Torino. Il Regista ha dichiarato di aver in passato curato la scenografia dell’opera trovandola “noiosa”, per cui curandone stavolta anche la regia ha cercato di togliere in essa quegli elementi che secondo lui la rendevano tale. Insomma traspone l’opera dal Settecento alla nostra contemporaneità. Operazione tutt’altro che indolore, almeno a mio modesto avviso, perché se lo spettacolo ci guadagna forse in spigliatezza, anche grazie all’eccellente compagnia di canto, perde però quell’equilibrio, quella moderazione, quel fascino che solo nell’ambientazione originale vengono pienamente in luce.

Cimarosa è spesso messo in confronto con Mozart e con Rossini, ma non è nessuno dei due. Ci sono momenti che richiamano il Mozart delle Nozze di Figaro (d’altronde la prima assoluta dell’opera ebbe luogo pochi mesi dopo la morte di Mozart) e altri che sembrano anticipare Rossini (che era un neonato di 7 giorni il giorno della prima del Matrimonio Segreto), ma il titolo ha una sua precisa connotazione, che va assolutamente rispettata. Secondo me in questo spettacolo si perde in larga parte, anche perché la comicità in esso sconfina spesso con la volgarità che è del tutto assente nell’originale. 
L’esempio più pertinente è la scena in cui Fidalma dichiara le sue intenzioni a Paolino: qui Fidalma è presentata come una milf da pornovideo, il che diverte il pubblico, ma tradisce il sottile erotismo pieno di sottintesi e ambiguità dell’originale.

Per non parlare poi del finale secondo in piena luce senza quindi quell’ambientazione notturna che ne amplifica la poesia qui del tutto assente. Peccato! Mi spiace davvero dissentire dalle scelte di un Regista che ammiro da decenni: mi sorge il dubbio che continui a non amare quest’opera, un grande come lui sarebbe riuscito benissimo a rendere gradevolissimo lo spettacolo lasciandolo nel Settecento. Eccellente la compagnia di canto (Marco Filippo Romano, Markus Werba, Carolina Lippo, Eleonora Bellocci, Alasdair Kent, Monica Bacelli) , ottima la direzione d’orchestra (Nikolas Nägele).

È andata decisamente molto meglio con Violanta di Erich Wolfgang Korngold. Una prima italiana assoluta. L’opera ebbe il battesimo nel 1916 sotto la direzione di Bruno Walter. Korngold aveva diciassette anni quando la compose ma dimostra già una notevole maturità stilistica. Sono certo evidenti in essa influssi straussiani, mahleriani, wagneriani (più che altro nella lunghezza del duetto), dell’operetta di Lehár, ma il tutto è assimilato mirabilmente in uno stile già personale che si ritroverà anche nelle celeberrime colonne sonore composte per il cinema di Hollywood.
Pizzi sposta anche qui l’ambientazione dal Rinascimento veneziano dell’originale agli anni 20 del Novecento, però la cosa tutto sommato funziona, anche perché la cornice rinascimentale obbediva a una consuetudine del momento che aveva gli esempi più noti in Eine florentinische Tragödie di Zemlinsky, ambientata a Firenze, e in Die Gezeichneten di Schreker, ambientata a Genova. Non c’è alcun riferimento musicale all’epoca e il libretto ha molte imprecisioni temporali: si cita un Teatro Felice (la Fenice, sorta però alla fine del Settecento), si fa confusione tra il Carnevale e la Festa del Redentore, agostana, spesso letteralmente citata. Insomma la vicenda può andar bene anche nel Novecento, tanto più che molti personaggi sono in maschera. Pizzi monta una scenografia sontuosa e raffinata pur nella sua semplicità. I costumi sono elegantissimi. La regia è estremamente curata.

La parte musicale gode della superlativa direzione di Pinchas Steinberg. Il Direttore ha un rapporto di lunga durata con il Regio e spero tanto che la novella direzione artistica lo mantenga. Figlio d’arte (il padre William fu uno dei maggiori direttori del Novecento) è un eclettico capace di dare il massimo in ogni repertorio, in particolare il Tardo Ottocento e Primo Novecento.

La compagnia di canto è di alto livello: protagonista Annemarie Kremer, di notevole bellezza e presenza scenica, affiancata da Michael Kupfer-Radecky e da Norman Reinhardt.

Notevolissima Anna Maria Chiuri nel ruolo della nutrice Barbara, secondo me la più brava.

Peter Sonn, Soula Parassidis, Joan Folqué, Cristiano Olivieri, Gabriel Alexander Wernick, Eugenia Braynova, Claudia De Pian completavano il cast.

Naturalmente va menzionato l’ottimo Coro del Regio istruito da Andrea Secchi.

Pubblico numeroso alla Violanta con spettatori che ritornavano dopo averla vista pochi giorni prima, scarso invece al Matrimonio Segreto con circa mezza sala vuota.