A memoria, dovrebbe essere il primo caso di sesso orale visto sul palcoscenico della Scala. Siamo all’ultimo atto delle Nozze di Figaro di Mozart. Susanna ancora travestita da Contessa sollazza Figaro con cui si è appena rappacificata, suscitando la gelosia del Conte. Ovvio che non si veda nulla di porno, anzi che non si veda quasi nulla di nulla. Loro sono un po’ arretrati, Figaro è allungato su una sedia, davanti ne ha delle altre, e Susanna è china di fronte a lui. Inequivocabile ma allusivo.
In ogni caso, nessuno scandalo, forse perché il pubblico era stremato dalla direzione di Franz Welser-Möst, peraltro l’altra sera più vispo del solito, oppure perché era una prima fuori abbonamento per un pubblico di stranieri che mettevano piede per la prima volta alla Scala e magari all’opera, quindi di bocca buona (ops!).
E poi non è nemmeno una novità assoluta. Di simili pratiche se ne sono già viste, anzi intuite, nella Carmen di Bieito, transitata anche al Regio di Torino (Mercédès – o Frasquita – a uno dei contrabbandieri, dietro a una Mercedes, intesa come l’auto) e nella Salomedi McVicar al Covent Garden (lei a Erode fuori scena, dopo che erano caduti tutti e sette i veli). E non parliamo di certo Novecento spregiudicato, tipo il Grand Macabre di Ligeti.
In ogni caso, l’exercice de fellation era il momento meno osceno della regia di Frederic Wake-Walker, che ha montato alla Scala la più orrenda produzione dell’era Pereira. Al confronto la paleolitica Zauberflöte di Peter Stein era una boccata d’aria fresca. Non si è capito con esattezza dove l’ignoto britanno volesse andare a parare, però una cosa è certa: delle Nozze non ha capito nulla. E ha trasformato la più bella commedia di tutti i tempi in una farsa sgangherata. Già quella del teatro nel teatro è la tipica idea dei registi che non hanno idee. Peggio se si concretizza in un suggeritore tabaccoso parcheggiato in un angolo della scena e in un gruppo di mime nerovestite che intervengono a sproposito nell’azione. Ogni personaggio, e Dio sa quanto quelli delle Nozze siano veri, umani, autentici, diventa una macchietta, Figaro sempre saltellante, Bartolo sempre sballonzolante, Cherubino sempre volteggiante, ah ah ah, che ridere.
Scene e costumi, di Anthony McDonald, di livello equivalente. Basti dire che il Conte è vestito da semaforo, scarpe verdi, calze gialle, culotte rossa, e nel finale a torso nudo perché, si sa, è sempre infoiato. Per carità, non si tiri fuori la querelle degli antichi e dei moderni. Questo spettacolo tutto è men che moderno. Umilia le Nozze a una serie di gag, castiga Mozart nella funesta categoria del «carino» e non riesce nemmeno a essere davvero camp come forse ambiva. In un teatro, peraltro, dove i veri grandi registi d’opera di oggi si vedono pochissimo.
Peccato per gli interpreti, tutti più o meno bravi. Ma si sono prestati a questa boiata pazzesca, e non li nominiamo nemmeno. © La Stampa
Attenzione: nell’immediato non sono previste repliche.
Non so quanto la ripresa tv rendesse l’idea dello spettacolo: credo che almeno un quarto di esso venisse sacrificato dalle scelte di regia televisiva, per cui risultava forse meno comprensibile che in sala. Ma probabilmente anche chi curava la ripresa tv sarà rimasta disorientata da uno spettacolo abbastanza caotico e irrisolto. Tra gli intervistati c’era chi diceva “troppa carne al fuoco”, altri “il regista non ha osato molto”, nessuno si è espresso come il rag. Fantozzi:
e forse bisognerebbe cominciare nei teatri d’opera a definire in modo efficace e pertinente le sciocchezze che ci vengono presentate da registi che pretendono di saperne più di Mozart e Da Ponte in fatto di teatro.