TANCREDI di Rossini (Torino,1985) su Rai 5

Su Rai 5 andrà in onda domani Tancredi di Gioachino Rossini in una edizione del Teatro Regio di Torino del marzo/aprile 1985 con la regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi e la direzione di Bruno Bartoletti. Nel cast: Lucia Valentini Terrani, Gianna Rolandi, Dalmacio Gonzales, Roberto Scandiuzzi, Monica Tagliasacchi, Lucia Rizzi.

Tancredi

Scena dall’opera

Riporto la recensione di Massimo Mila su La Stampa del 28 marzo 1985:

Quando tutte le edizioni critiche saranno pubblicate, tutte le varianti individuate, tutti gli errori corretti e i tagli riaperti, bisognerà poi anche che una volta o l’altra ci si decida a far uso del cervello e del gusto per sottoporre le opere serie giovanili di Rossini al vaglio della ragione critica. Ci si avvedrà che è un’impostura mettere sullo stesso piano i due trionfi riportati dal ventunenne compositore: il Tancredi e un capolavoro assoluto come L’Italiana in Algeri. Il successo del Tancredi, che tra l’altro non fu nemmeno immediato ma andò crescendo a dismisura dopo l’esecuzione veneziana, quando l’opera cominciò a girare in Italia e fuori, va ricondotto entro le particolari condizioni del momento, quando estinta la grande dinastia settecentesca degli operisti napoletani, e chiusa l’Italia alla penetrazione tanto di Gluck che di Mozart, le sorti stesse dell’opera seria sembravano in declino. Certamente un’opera come il Tancredi aveva in sé tanto di apparato vocale e strumentale da autorizzare nuove speranze. Ma è essenzialmente una palestra di bel canto, ravvivato qua e là da alcune fanfare militaresche che fecero a quel tempo molta impressione e contribuirono ad ingenerare l’equivoco, assai pregiudizievole a una retta ricezione, che si tratti di un’opera eroica, mentre invece il tono determinante è quello dell’elegia. Goethe, quando la senti, disse che gli era stato necessario chiudere gli occhi e prescindere da elmi, armature e trofei, sostituendo i personaggi con ninfe e pastori e immaginando una «favola boschereccia», in un paesaggio alla Poussin; cosi tutto era andato bene. Scarsissimo è il contenuto musicale delle «sonatine di gola» assegnate a un mezzosoprano (Tancredi), un soprano (Amenaide) e un tenore (Argino, padre di Amenaide). A parie la celebre entrata di Tancredi con la cabaletta -Di tanti palpiti-, il vuoto del primo atto è talmente pneumatico che il secondo, certamente, fa figura d’una Passione secondo San Matteo o d’un second’atto della Walkirìa. specialmente quando venga eseguito con quel sorprendente finale tragico che Rossini scrisse per le rappresentazioni di Ferrara sostituendo il lieto fine (in verità più consono alla balordaggine drammatica del libretto) con la morte del protagonista, secondo il lesto della tragedia di Voltaire, tradotto fedelmente da Luigi Lochi, mentre il librettista Gaetano Rossi aveva fatto strazio dell’originale. In questo second’atto appare perfino qualche idea originale nei bassi, invece dei soliti accompagnamenti stereotipati in quartine roteanti, e qualche insolito timbro strumentale sia nell’aria di Argirio sia (corno inglese) in quella successiva di Amenaide. Dei tre arrampicatori vocali che il Regio ha chiamalo ad esibirsi sulle pareti di questa palestra le due donne sono emerse in primo plano. Lucia Valentini Terrani, ancorché in forma non smagliante, ha dato all’inconsistente protagonista l’alta autorità d’una voce sicura e d’un portamento maschile non artificioso. Nel personaggio di Amenaide, interessante rivelazione di Gianna Rolandi, un’oriunda italo-americana che fa qui la sua promettente entrata nel mercato delle voci italiano, forse europeo. I due lunghi duetti, nei quali l’imbranata Amenaide non trova il modo di fugare i sospetti di Tancredi spiegandogli una buona volta come stanno le cose, hanno avuto momenti sfavillanti di eufonia femminile. Il tenore Dalmacio Gonzales si arrabatta con coraggio su per le impervie pareti del belcanto acrobatico, e tutto sommato ce la fa, non stona, non s’inceppa e riesce ad inerpicarsi in vetta agli acuti, più arditi, ma con una fatica che mette a disagio chi lo ascolta con benevola simpatia. Roberto Scandiuzzi, Monica Tagliasacchi e Lucia Rizzi si sono lodevolmente disimpegnati nelle parti minori che non esigono prodezze acrobatiche, e lo Scandiuzzi anche con un certo portamento scenico. Lodevole la prestazione del coro, istruito dal maestro Fogliazza. La direzione di Bartoletti è il grande atout di questa esecuzione: non solo soffice, agile e felpata nelle parti vivaci, ma dotata di tenerezza, di patos e di autentica commozione in quel sorprendente finale tragico, dove le interiezioni dell’orchestra svolgono la funzione di quell’artificio ortografico che sono i puntolini di sospensione nelle pause d’un discorso rotto dall’agonia. L’allestimento scenico e la regia sono quelli di Pierluigi Pizzi per il Teatro Rossini di Pesaro. Un maestoso impianto unico, inquadrato da alte colonne, serve per tutte le numerose scene dell’opera, con allusivi cambiamenti cromatici del fondo scenico e con l’ausilio di alcuni trabiccoli che vanno e vengono. Da questa fissità spettacolare risultano un po’ castigati quei timidi germi di sensibilità paesistica che fanno capolino nella musica. Lo spettacolo ha avuto un bel successo, con lunghi applausi finali e frequenti anche a scena aperta. Non si può tacere, però, che durante il lungo second’atto alcuni spettatori hanno tagliato la corda, come se si trattasse di un’opera moderna. © La Stampa

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