DON PASQUALE di Donizetti (Scala,1994) su Rai 5

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Domani andrà in onda una edizione del Don Pasquale di Donizetti rappresentato alla Scala nella stagione 1993/94. Riccardo Muti sul podio, Stefano Vizioli alla regia. Ferruccio Furlanetto, Lucio Gallo, Nuccia Focile, Gregory Kunde, Claudio Giombi nel cast vocale.

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Ferruccio Furlanetto e Nuccia Focile © E.Piccagliani

La regia di Vizioli sarà ripresa successivamente a Cagliari (fu trasmessa in tv anche dalla stessa rete) con altro cast e direttore.

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Lucio Gallo, Ferruccio Furlanetto e Gregory Kunde © E.Piccagliani

Il Don Pasquale è un’opera che Muti predilige in modo particolare, come dice in una intervista rilasciata ad Angelo Foletto su La Repubblica:

DON Pasquale di Donizetti è il punto d’ arrivo di un’ intera civiltà musicale che aveva preso le mosse da una doppia tradizione: la scuola napoletana e Mozart”. Lo sostiene Riccardo Muti, che di tale doppia tradizione è da decenni l’ interprete più appassionato e autentico. Nei primi anni di carriera, in collaborazione con l’ orchestra “Scarlatti” della Rai, Muti aveva esplorato in più occazioni l’ operismo comico napoletano, manifestando una vocazione felice per il genere. Quel filone, promesso come futuro interesse e già allargato alla commedia per musica (il pergolesiano Lo frate ‘ nnamorato), è stato poi lasciato un po’ in disparte. Obbedendo anche a una sorta di personale inclinazione espressiva: “nell’ intimo sarei sempre disponibile al sorriso, ma il tipo di educazione che ho avuto mi porta a sentirmi a mio agio con la severità”, dice Muti, “la maggiore familiarità col repertorio drammatico forse dipende anche da ciò”. L’ eccezione? La trilogia Da Ponte-Mozart e Don Pasquale, appunto, opera da sempre legata alle affermazioni professionali di Muti. “Partitura fantastica. Prodigiosa per la continuità e il livello dell’ invenzione. Una musica sempre limpida e efficace, senza cedimenti di tensione o di bellezza ispirativa”. Già diretto da Muti a Firenze, quindi scelto nel 1971 come titolo per il trionfale esordio al Festival di Salisburgo (e alcuni anni dopo per una rivelatrice esecuzione discografica) il capolavoro donizettiano – “proprio l’ opera dove mi divertirò”. – Oggi si offre alla Scala in una nuovissima edizione, a un decennio esatto dall’ ultimo allestimento. Il 17 aprile 1843, quattro mesi dopo la prima parigina, Don Pasquale iniziava la sua (non ricchissima, per la verità) vicenda scaligera. La celebrazione un po’ in ritardo del 150enario avviene sotto i migliori auspici artistici. Intanto è la prima volta che la delicata e sfavillante partitura viene presentata dal direttore musicale della Scala (troviamo soltanto Gino Marinuzzi tra il 1935 e il 1943, nell’ edizione del centenario), a fare da guida a un cast di voci non debuttanti ma sicuramente nuove, ordinate in due cast che si intrecceranno nelle prossime tredici recite. Muti, che la settimana prossima affronterà un’ altra partitura capitale come La Creazione di Haydn, per la serata di oggi – trasmessa come solito in diretta da Radiotre – ha scelto Ferruccio Furlanetto (Don Pasquale), Nuccia Focile (Norina), Lucio Gallo (Malatesta) e Gregory Kunde (Ernesto); nelle repliche canteranno Bruno De Simone, Eva Mei, Roberto Frontali e Vicente Ombuena. In una sorta di scatola componibile, che si apre e richiede silenziosamente ricreando i vari ambienti romani e borghesi previsti dal libretto, correrà la regìa di Stefano Vizioli. Nel suo debutto milanese ha voluto al fianco i consueti collaboratori (la scenografa Susanna Rossi Jost e la costumista Roberta Guidi Di Bagno). © La Repubblica

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Nuccia Focile e Lucio Gallo © Lelli & Masotti

Lo spettacolo non ebbe gran successo come rileva la recensione di Michelangelo Zurletti:

Riccardo Muti ha dichiarato due giorni fa al nostro giornale che intimamente sarebbe disponibile al sorriso ma che per educazione ha imparato a sentirsi più a suo agio con la severità. E aggiungeva: “La maggiore familiarità col repertorio drammatico forse dipende da ciò”. Da ciò dipende anche, per conseguenza, l’ approccio assai cauto al sorriso. Naturalmente si tratta di vedere quanto in un’ opera come Don Pasquale si debba al sorriso e quanto alla severità, fermo restando che un po’ di sorriso ci debba essere. Gaetano Donizetti, che si intendeva di tragedie ma anche di commedie, e perfino di farse, intitolò Don Pasquale dramma buffo, con ciò attestandosi su un crinale che contempla i due versanti, del buffo e del severo: com’ era successo a Mozart con le opere scritte con Da Ponte. Il preambolo spiega perché nel Don Pasquale scaligero si sorrida assai poco (come, non a caso, nel Don Giovanni di Muti). La leggerezza c’ è, ma va tutta a vantaggio delle parti malinconiche: magnifiche torniture di frasi, ampi respiri, sospensioni opportune, tempi giusti. Ma non si leva il sorriso. Anche l’ orchestra macina la partitura sensa verve e senza gusto. In qualche momento, come nel coro di servi e camerieri, sembra che la commedia sia raggiunta, ma è di breve durata. E la sensazione prevalente è che un eccessivo controllo renda l’ esecuzione troppo rigida. Talvolta converrebbe sciogliere le briglie ai cantanti e lasciarli andare. Concedendogli magari anche qualche acuto, non foss’ altro alla fine delle arie, delle scene, degli atti. Senza queste concessioni atletiche si rischia un raffreddamento della tensione, non compensato dal successo filologico (e non ci pare che in simili partiture si possa esercitare troppa filologia: e comunque c’ è anche quella dello spirito). Anche lo spettacolo di Stefano Vizioli si mantiene prudentemente distante dalla commedia. Qualche idea, come la teoria dei cappelli in bella mostra snocciolata su una tavola lunghissima portata a spalla come in uno spot di biscottini, o il tavolo da cucina dei cuochi lungo quanto il palcoscenico scaligero, è buona, ma non basta a fare uno spettacolo vivace. Non aiutano Vizioli le scene, ingegnose tecnicamente ma tutt’ altro che belle di Susanna Rossi Jost (costruite anche con la mano sinistra: porte che non si aprono, incastri imprecisi). E, fin dall’ inizio, quando vediamo Don Pasquale intento a esaminare un pezzo d’ antiquariato, con un’ imponente libreria alle spalle, c’ è qualcosa che non va. Se Don Pasquale ha letto anche una minima parte di quei libri, se distingue un busto dall’ altro, non può essere tanto babbione. E se “L’ azione si finge a Roma” perché trasportarla a Fregene? Belli, invece, e ironici, i costumi di un Impero cromaticamente rivisitato, di Roberta Guidi di Bagno. Anche la compagnia di canto, pressata dal timore di svendersi del direttore e la prudenza di Vizioli, non ha dato quel che poteva dare. Ferruccio Furlanetto, anche se un po’ spaesato negli scioglilingua, esce abbastanza bene dalla prova. Esce bene, anche se fortemente contrastato dal solito impossibile loggione, Gregory Kunde, che ha un filo di voce ma bel fraseggio e nobiltà di canto. Nuccia Focile, anche lei innervosita dai mugugni del loggione è l’ unica che si avvicini alla commedia e si mostra un tipetto assai vivace, con qualche problema di intonazione, soprattutto nelle fioriture alte. Lucio Gallo è un Malatesta sempre attendibile Claudio Giombi è un Notaio decoroso. Fischi, alla fine, ma anche applausi. © La Repubblica

 

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Gli artisti agli applausi © Lelli & Masotti

Muti rispose alle contestazioni dichiarandosi fiero del suo Don Pasquale:

“Non cerco il consenso a tutti i costi, sia chiaro” ha esordito, “e non resto alla Scala perché me l’ ha ordinato il medico, ma con l’ appoggio pieno dell’ Orchestra e del Coro, che per me conta molto. Penso di dedicare ancora qualche anno di vita a questo teatro, cercando di migliorare la qualità del lavoro, ma mi piacerebbe che anche il pubblico sapesse ascoltare in modo critico, maturo e consapevole, proprio di una città colta, e non desse prova di un fanatismo incontrollato. Vorrei che svanisse quell’ immagine folcloristica con cui noi italiani siamo conosciuti nel mondo. E che adesso rischia di coinvolgere la Scala e il suo pubblico. Dopo i fischi al Don Carlo, il ‘ Times’ scrisse che il loggione aveva mostrato una ‘ subcultura’ . Questo è negativo”. Muti ha difeso senza riserve la prova degli interpreti e la regia. “Ringrazio Vizioli per lo splendido spettacolo che ha fatto; forse il suo difetto è quello di essersi diplomato a pieni voti in pianoforte al Conservatorio di Napoli: ha costruito la regia sulla musica, ed è quello che andava fatto. Chi non la pensa così, perché non va a vedere quelle messe in scena del Don Pasquale, dove la gente non ascolta nemmeno la musica di Donizetti, ma si sollazza con le trovate comiche dei registi? L’ opera ha invece in sé anche un’ importante vena di malinconia, che deve trasparire. Questa è la nostra musica, la nostra cultura. Io mi sforzo di rendervi omaggio affinché venga ben compresa nel mondo. Mi sento responsabile del lavoro dei cantanti, che condividono con me un difficile lavoro. Quello che ho diretto è uno dei possibili modi di fare il Don Pasquale, ma è un modo serio e a lungo pensato. Provo un moto di rifiuto quando vedo che l’ impegno degli artisti viene svillaneggiato”. Per il direttore è una questione morale: “Non abbiamo bisogno del consenso, ma del rispetto. E nel momento in cui viviamo, mi sembra che in Italia si stia perdendo il senso del rispetto in tutti i rapporti umani”. Anche in loggione però qualcuno si lamenta della mancanza di rispetto. Sono quelli che protestano perché le gallerie sono ormai da tempo frequentate da carabinieri in borghese, un “servizio d’ ordine contro i provocatori”, dicono in teatro, che contribuisce però a creare un clima d’ assedio. “E’ vero che ci sono gli esagitati e i fischi organizzati” ha detto un loggionista, che si considera moderato, “ma così si rischia di peggiorare la situazione, soprattutto in vista del Rigoletto: c’ è già aria di fronda, prima ancora dell’ inizio delle prove”. Un problema che evidentemente Muti, in procinto di dirigerlo a maggio, si è già posto. “Ognuno vive Verdi come fosse un tempio” ha detto ieri, “e lo vuole ascoltare come meglio crede. Per questo la sua esecuzione richiede sforzo, sacrificio, coraggio. E così l’ affronterò, ma con il rigore che gli è dovuto”. © Manuela Campari/ La Repubblica

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2 Risposte to “DON PASQUALE di Donizetti (Scala,1994) su Rai 5”

  1. Raffaella Campalastri Says:

    Vidi quest’opera, che amo particolarmente, all’epoca; la trovai magnifica, con quella malinconia di fondo che impedisce di ridere delle disgrazie altrui. Muti e l’orchestra furono superbi!

  2. “Don Pasquale” di Donizetti (Milano, 1994) su Rai 5 | Wanderer's Blog Says:

    […] https://musicofilia.wordpress.com/2016/09/17/don-pasquale-di-donizetti-scala1994-su-rai-5/ […]

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