DON GIOVANNI con la regia di Claus Guth dal Salzburger Festspiele 2008

Dopo le Nozze quasi bergmaniane ecco un Don Giovanni noir, secondo me il più bello e riuscito dei tre spettacoli, anche se forse il più lontano in assoluto dalla tradizione. Il tutto si svolge in un bosco oscuro, rotante a seconda delle scene. Bosco, immagine del mondo delle pulsioni, un mondo dove Don Giovanni regna sovrano in virtù della sua dissolutezza (Il dissoluto punito sottotitolano Mozart/Da Ponte), un mondo che attrae gli altri che vi giungono spesso con le torce elettriche per farsi luce, un mondo che la società reprime con le sue convenzioni e le sue istituzioni, di cui il Commendatore sembra essere guardiano vigile. Ambientazione indovinata secondo tale concezione, come lo era il palazzo primo Novecento del Nord Europa delle Nozze (simbolo di una società che reprimeva l’impulso erotico nelle istituzioni e che necessitava dell’eros ex machina per suscitarlo). Durante l’ouverture si vede già Don Giovanni che uccide a bastonate il Commendatore, che riesce però a ferire mortalmente il protagonista con un colpo di pistola. Tutta la rappresentazione si svolgerà nel tempo che separa Don Giovanni da una morte già annunciata e inevitabile (meccanismo narrativo già sfruttato anche nel cinema, ma pur sempre intrigante), morte necessaria per ristabilire un ordine minacciato. Ecco quindi Don Giovanni e Leporello presentati come due vagabondi, tossicodipendenti, che vivono al di fuori delle regole e convenzioni di una società che invece condiziona gli altri personaggi. Se nelle Nozze di Figaro il regista sembrava mettere in discussione e corrodere l’istituto del matrimonio, surgelatore di ogni impulso erotico, qui nel bersaglio vanno a finire  tutte le convenzioni della società, al punto che l’eroe eponimo che ne vive al di fuori  diviene forza centripeta di tutta l’azione e di ogni personaggio. Nella prima scena Donna Anna, sessualmente aggressiva, più che una donna violata sembra correr dietro al suo seduttore per ottenere un replay, che puntualmente avviene, e il Commendatore appare non tanto come tutore dell’onore della figlia, ma come il guastafeste che viene a interrompere i due amanti:

Donna Elvira, nonostante l’aspetto di donna integrata, testimonial dell’istituto matrimoniale, non riesce a rinunciare al barbaro, viaggia alla di lui ricerca ed è disposta a perdonar tutto pur di riaverlo:

Zerlina non può certamente dirsi sedotta dal fattore di classe sociale, quanto attratta da un mondo di libere pulsioni, incarnato da Don Giovanni:

Don Ottavio è invece, anche nell’aspetto, colui che meglio incarna le regole e i codici della società (l’integrato per antonomasia) e Donna Anna, profondamente segnata dall’incontro con Don Giovanni, sceglie la morte piuttosto che vivere accanto al suo promesso:

Le conquiste amorose di Don Giovanni non sembrano un fatto poi così essenziale: il catalogo snocciolato da Leporello sembra inventato lì per lì e letto dall’orario dei bus

e le altre conquiste  paiono vissute più nella immaginazione, che nella realtà (la Serenata, cantata come vaneggiando sotto l’effetto di una droga, ne è tipico esempio).

Un allestimento siffatto non poteva che proporre l’edizione di Vienna, che termina con la morte di Don Giovanni e manca del quadro finale giocoso-moralista. La versione è seguita anche nella riproposta del duetto Leporello/Zerlina che forse val la pena di ascoltare:

Coerentemente sono tagliate sia l’aria di Leporello: Ah pietà Signori sia quella di Don Ottavio: Il mio tesoro.

Cast notevolissimo sia scenicamente che vocalmente. Al primo posto metterei l’ottimo Leporello di Erwin Schrott, formidabile in ogni momento. Scenicamente perfetto, anche fisicamente, il Don Giovanni di Christopher Maltman, quasi da premio Oscar. Efficacissima la Donna Anna di Annette Dasch; Dorothea Roeschmann (Elvira) si conferma come una delle migliori soprano del momento, così come Matthew Polenzani (Don Ottavio) una delle voci tenorili più interessanti. La coppia Zerlina/ Masetto è interpretata dagli ottimi Ekaterina Siurina e Alex Esposito, quest’ultimo l’unico italiano del cast. Anatoly Kotcherga è un autorevole Commendatore. Ho lasciato per ultimo il direttore Bertrand de Billy, che non mi pare godere molto del favore dei critici musicali. Per di più finisce col dirigere spesso spettacoli anticonvenzionali che spostano l’attenzione più sul regista, mettendo un po’ in disparte il direttore d’orchestra

Bertrand de Billy

Bertrand de Billy (foto M. Borggreve)

Da quel che ho potuto cogliere dalla ripresa tv, la direzione di de Billy mi è parsa, al contrario di ciò che mi è capitato di leggere, molto musicale e raffinata, una delle migliori ascoltate di recente: mi ricorda un po’ quella discografica di Krips. Forse l’appunto che potrei muoverle è quello di non essere in sintonia con l’allestimento di Claus Guth. Cioè se il regista è immerso in un’atmosfera che ricorda il noir, il direttore si aggira in un mondo di porcellane settecentesche. Non è comunque la prima volta che tra buca e palcoscenico ci sono divergenze di vedute. Non è raro vedere spettacoli d’opera proiettati in piena contemporaneità ascoltando un’orchestra di strumenti originali con strettissima osservanza filologica: insomma se i registi vogliono portare l’opera nel presente, i direttori la vogliono riportare alle origini. Contraddizioni dei nostri giorni.

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2 Risposte to “DON GIOVANNI con la regia di Claus Guth dal Salzburger Festspiele 2008”

  1. antoniosabino Says:

    Davvero notevole e detto da uno come me che solitamente non ama le rese moderne è strano. Ho guardato tutte le parti che ho potuto trovare, compreso il finale, ed è come se il regista fosse riuscito a mantenere le simpatie e le antipatie che ho sempre pensato filtrassero attraverso l’opera, ovvero, ad esempio, l’antipatia che Mozart sembra provare per Don Ottavio e la naturale simpatia per Don Giovanni; i cantanti sono davvero notevoli, Maltman continua a confermarsi uno dei migliori interpreti attualmente sul palco.

  2. Roberto Mastrosimone Says:

    Sono d’accordo: è una delle regie “moderne” più intelligenti e più riuscite. Magari fossero sempre così!

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