“Eugenio Onegin” di Ciaikovski in DVD con Classic Voice in edicola

La imminente tappa alla Scala dell’Eugenio Onegin di Ciaikovski nell’allestimento del Bolshoi, di cui ho già scritto in un articolo del 14 gennaio scorso, è occasione per la distribuzione in edicola dell’opera nella collana Classic Voice Opera, proposta nell’edizione registrata a Glyndebourne nel 1994 con la regìa di Graham Vick, rappresentata per l’inaugurazione della nuova sala.

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Ciaikovski compose l’Onegin in concomitanza con il fallimento del suo matrimonio con Antonina Miljukova, fatto per mettere a tacere le voci sulla sua omosessualità. La crisi di sconforto è palpabile in ogni pagina dell’opera in cui l’impossibilità di realizzarsi sentimentalmente nell’ambito delle istituzioni è dichiarata apertamente fin dalla prima scena. Oltre a ciò l’Onegin è una reazione al genere del grand-opéra allora imperante in Russia, genere che l’Autore non trovava congeniale alla sua poetica e al suo stile. Scene liriche è la definizione che Ciaikovski che dà dell’Onegin. Scena principe dell’opera è quella della lettera in cui Tatiana mette a nudo i suoi sogni e suoi sentimenti di adolescente. L’alterco tra Eugenio e Lensky è trattato in modo convenzionale e sbrigativo, più che sul duello l’attenzione verte su ciò che lo precede (l’aria in cui Lensky canta i suoi sogni perduti e il duetto in cui i due amici-nemici riflettono sulla assurdità di quanto sta avvenendo e sulla loro incapacità a sottrarsene). Per rappresentarla non occorrono cantanti dotati di notevoli mezzi vocali, quanto capaci di esprimere il loro sentimenti con un fraseggio efficace, dando ad ogni parola il giusto accento e rendendone pienamente il significato. Ciaikovski diede queste indicazioni: “Cantanti di media forza, ma ben preparati e sicuri del fatto loro, che sappiano recitare semplicemente, ma bene. Una messa in scena senza lusso, che corrisponda rigorosamente all’epoca in cui l’azione si svolge (dovrebbe servire di monito ad alcuni registi, Cherniakov in primis), i costumi anche devono appartenere al 1820″. L’Autore era dell’idea che l’opera dovesse essere eseguita in forma semi-privata, non nei grandi teatri. La prima andò in scena al Malyi di Mosca con orchestra e allievi di canto del Conservatorio. Poi passò al Bolshoi due anni dopo e Ciaikovski fu costretto suo malgrado a apporre qualche modifica al terzo atto, inserendo la scozzese e tagliando i commenti dei convitati precedenti l’ingresso dei Gremin. L’opera finì quindi con l’essere rappresentata in allestimenti che non rinunciavano al fasto, relegando al canto (nei casi migliori) l’intimismo dell’opera. Oggi si tende a dare atto all’esigenze espresse da Ciaikovski con alllestimenti volutamente semplici e minimalisti. Tale è questo di Graham Vick. Sicuramente uno dei più riusciti e più pertinenti. Scene ridotte al minimo essenziale con gioco di velari; costumi che richiamano un generico Ottocento: tutto si concentra sui personaggi. Gli interpreti sono stati scelti volutamente tra i giovani cantanti.[Onegin dichiara 26 anni all’ultimo atto, essendo stato assente qualche tempo dopo il duello con Lensky, è presumibile che nei primi due sia intorno ai 23, così l’amico. Tatiana e Olga sono più giovani, per cui sono poco più che adolescenti. Non è pignoleria anagrafica o storica: la vicenda trova ragion d’essere solo nella giusta età dei protagonisti e nel tempo in cui è ambientata, altrimenti rischia di sconfinare nel ridicolo.] Scenicamente il tutto funziona in modo egregio, musicalmente un po’ meno. Veramente tutti cantano bene, hanno bella voce, l’orchestra è l’eccellente London Philharmonic: forse quel che non va tanto è il direttore, Sir Andrew Davis, allora music director del Festival. Onesto e diligentissimo professionista in grado di condurre in porto qualsivoglia spettacolo, ma nulla di più (anche se è già molto…). Tutto fila liscio, ma nessuna emozione e soprattutto nessuna attenzione al canto. Probabilmente Sir Andrew non conosceva il russo e non era quindi in grado di fornire indicazioni agli interpreti che sono così lasciati alle loro capacità e più di una volta non trovano alcun supporto nel direttore.

Andrew Davis

Andrew Davis

Il migliore tra i cantanti è, secondo me, Wojciech Drabowicz nel ruolo eponimo. Il giovane baritono polacco, prematuramente scomparso due anni fa a soli 41 anni, alla bella figura unisce una voce fascinosa e seducente che ben si addatta al dandy che impersona. Da aggiungere che la parte non richiede particolari doti introspettive, dal momento che Onegin è piuttosto arido e non comunica altro se non tedio e impotentia amandi.

Wojciech Drabowicz in una delle sue ultime foto

Wojciech Drabowicz in una delle sue ultime foto

La giovane Elena Prokina è una Tatiana credibilissima scenicamente.

Elena Prokina

Elena Prokina

Il soprano ucraino ha bella voce, canta molto bene, non riesce secondo me a rendere compiutamente il personaggio per un fraseggio poco curato e generico. Ce la mette tutta, ma avrebbe avuto bisogno di un direttore che qui è del tutto assente e si limita a incorniciarne la voce con bei suoni.  Martin Thompson nonostante una bella voce di tenore non può eguagliare i Lensky che inevitabilmente vengono in mente durante la sua aria, anche qui comunque vale il discorso di cui sopra. Frode Olsen è un Gremin meno invecchiato del solito (non è il solito nonnetto col piede nella fossa) e canta molto bene la sua aria. Louise Winter rende bene il personaggio di Olga.

Louise Winter

Louise Winter

Nella parte di Larina c’è nientemeno che Yvonne Minton, gloria dei palcoscenici britannici. Ludmilla Filatova, artista del Marinskij, nella parte di Filippevna, è la più convincente tra le intepreti femminili: la consuetudine col personaggio la rende autonoma e sicura. Una menzione merita il Triquet di John Fryatt.

La ripresa tv di Humphrey Burton dà risalto alla sala appena inaugurata. La ripresa audio non è esemplare.

 


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