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LA BOHÈME al Teatro Superga di Nichelino

novembre 22, 2009

Secondo appuntamento della nona stagione lirica del Teatro Superga: La Bohème di Giacomo Puccini. Titolo amato da tutti gli appassionati d’opera che da più di un secolo immancabilmente finiscono col prendere il fazzoletto per asciugar le lacrime alla morte di Mimì: potranno vederla e ascoltarla centinaia di volte, ma non dà assuefazione, l’effetto è sempre lo stesso. Si commosse anche Puccini nel comporla ed è uno dei momenti più alti in assoluto di tutta la storia dell’opera. In fondo anche i registi, tranne qualche pazzoide iconoclasta, hanno in genere avuto rispetto di questo capolavoro, limitandosi talvolta a posporla di un secolo, aggiornando in alcuni casi la cartella clinica di Mimì (ogni secolo ha i suoi mali…): operazione comunque inutile e gratuita in quanto non apre nessuna prospettiva nuova nell’interpretazione dell’opera. Né potrebbe: La Bohème è nata già perfetta, non c’è niente da aggiungere e nulla da togliere, da sola rende immortale il suo Autore. Naturalmente l’allestimento presentato dal Teatro Superga si muove pienamente nell’ambito della tradizione con uno spettacolo di ottimo gusto sia nelle scene che nei costumi, entrambi semplici, ma non poveri, non manca nulla pur nello spazio non particolarmente esteso del suo palcoscenico. Compagnia di canto giovane e affiatata, che dà quella giusta freschezza e rende credibilissima la vicenda. D’altronde ormai anche le grandi istituzioni liriche tendono a scritturare giovanissimi per Bohème: la presenza dei divi navigati rischia di alterare un po’ l’equilibrio di un’opera dove se i protagonisti sono indubbiamente Mimì e Rodolfo, anche gli altri personaggi hanno un ruolo non secondario e il pari merito è forse la carta vincente degli allestimenti. Lo intuì il grande Bernstein che più di vent’anni fa a Roma presentò in forma di concerto una Bohème di giovanissimi, che se da un lato fece scalpore finì poi col fare scuola. I cantanti che ieri sera hanno cantato a Nichelino sono giovanissimi, ma molto preparati e con un repertorio già vasto. Gioconda Vessichelli (Mimì) vanta nel suo curriculum anche la parte di Madama Cortese del “Viaggio a Reims” affrontata al ROF 2004, è una giovane che è dotata di una notevole poliedricità, poliglotta, passa dalla Bohème (in cui ha anche in repertorio Musetta) all’operetta al Così fan tutte (ove ha in repertorio sia Fiordiligi che Despina): insomma un’artista completa.

Gioconda Vessichelli

Rodolfo era il coreano Kim Choong Sik (che col battesimo cristiano ha premesso il nome Bosco in onore del Santo piemontese), tenore di ottima scuola (Bergonzi), di bella voce, che affronta con successo anche ruoli di lirico-spinto come si può verificare da questo

Nessun Dorma cantato lo scorso anno a Lecco

che è stato bissato a gran richiesta.

Valerio Garzo (Marcello) ha un repertorio che va da Cimarosa a Mozart a Puccini. Ascoltiamolo nella parte di Ping in una Turandot dello scorso aprile a Vercelli, dove si ha anche modo di ascolare l’ottimo Silvano Paolillo (il Benoit della Bohème) nella parte di Pong

Ho una casa nell’Honan

Elisa Cenni (Musetta) è una cantante di ottima scuola (Renato Bruson), già vincitrice di concorsi, di bella e spigliata presenza scenica. Nel marzo scorso ha affrontato il ruolo di Carolina all’Opéra di Parigi nel

Matrimonio Segreto di Cimarosa

Una Musetta seducente e generosa nel mostrare il suo ben di Dio con gratificazione del pubblico maschile.

Il basso venezuelano Ernesto Morillo ha cantato ottimamente l’aria di Colline strappando meritate  ovazioni a scena aperta.

Ferruccio Finetti è stato un buon Schaunard.

Ho lasciato per ultimo colui che in realtà è stato il vero protagonista della serata: il direttore Lorenzo Castriota Skanderberg.

Lorenzo Castriota Skanderberg

Giusto un anno fa lo avevamo ascoltato dirigere “Tosca” nello stesso teatro e con la stessa orchestra e ne avevamo ammirato la indubbia capacità di valorizzare l’orchestra pucciniana. Puccini è stato un grandissimo orchestratore, forse il migliore in assoluto del melodramma italiano. Soprattutto nelle sue ultime opere l’orchestra assume un ruolo fondamentale e diventa coprotagonista. Basti dire che Ravel aveva la partitura della Fanciulla del West sul comodino da notte e la considerava un capolavoro irrangiungibile. Lo sanno i grandi della bacchetta che hanno un amore sconfinato per Puccini. Insomma Puccini necessita di un buon direttore e tale è Lorenzo Castriota Skanderberg. Con una buona orchestra come la Sinfonica Città di Grosseto il risultato è garantito. Ma Castriota Skanderberg ha curato in maniera puntuale anche i cantanti. Si vedeva la sua mano sinistra continuamente guidare il palcoscenico, cui  aggiungeva spesso il movimento delle labbra ad accennare e quasi suggerire il canto. Purtroppo, e mi duole davvero scriverlo, il risultato è stato in larga parte compromesso dalla struttura del teatro, che non essendo nato per la lirica, manca di buca orchestrale e di quegli accorgimenti che favoriscono l’acustica. Per cui l’orchestra ha finito col creare spesso una barriera sonora tra palcoscenico e pubblico: un vero peccato, perché tanta cura nella preparazione dello spettacolo avrebbe davvero meritato una più soddisfacente fruizione da parte del pubblico, che comunque ha capito e ha saputo attribuire i giusti meriti a tutto il cast con i meritati applausi. Vorrei citare ancora il regista Renato Bonajuto, che ha saputo tra le tante cose dare un po’ di graziosa civetteria a Mimì nella sua prima apparizione in scena e chi ha curato le luci sempre pertinenti al momento. Una menzione anche al Coro Puccini diretto da Gianluca Fasano, che con la sua costante presenza si può quasi considerare un’istituzione stabile.